sabato 29 dicembre 2007

Intervento di Ivo Serafino Fenu, critico d'arte

I TORMENTI DI GULLIVER NELLA TERRA DI LILLIPUT
CULTURA E BENI CULTURALI TRA CITTÀ E PICCOLI CENTRI


Questo mio intervento ha un titolo perlomeno insolito e volutamente ironico per un tema così impegnativo qual è quello legato al rapporto tra “cultura” e “culture”, da intendersi, presumo, la prima come cultura centralizzata e in qualche modo imposta da un ipotetico centro che programma e dirige, le seconde come culture periferiche, troppo spesso derubricate come marginali e parassitarie, irrazionali, rispetto a un centro che si vorrebbe razionale e razionalizzante … almeno sulla carta.
Quella di Gulliver nella terra di Lilliput diventa, pertanto, una metafora spendibile per evidenziare un rapporto spesso difficile e conflittuale per diverse realtà: tra Regione e Enti locali, tra grossi centri urbani e piccoli centri, tra grandi eventi e manifestazioni quantitativamente più ridotte anche se, non necessariamente inferiori per qualità, tra macrostrutture culturali a fronte di piccole, talvolta piccolissime realtà espositive, teatrali, letterarie … ecc. Situazioni, appunto, conflittuali, spesso in rapporto di amore e odio, attrazione e repulsione e nelle quali mi è capitato spesso di imbattermi sia in veste di critico d’arte sia, soprattutto, in qualità di amministratore, essendo, temporaneamente, assessore alla cultura e alla pianificazione ambientale di un piccolo comune qual è San Vero Milis.
Proprio da quest’ultimo osservatorio privilegiato mi preme ricordare il problema della “desertificazione sociale” che da alcuni decenni attanaglia le zone interne e i piccoli centri in generale: incremento demografico vicino allo zero; aree metropolitane che si gonfiano fino a scoppiare e capaci, nell’immaginario collettivo più che nella realtà, di garantire una qualità di vita superiore, fuga dal centro dell’Isola verso le località costiere con la sempre più probabile scomparsa, in un futuro quanto mai prossimo, di numerosi paesi dell’interno.
Ora, non è questo il luogo e il momento per affrontare simili problematiche ma è pur vero che questa è la base da cui partire per analizzare anche i problemi connessi ai Beni culturali e che possono contribuire, seppure parzialmente, a fornire quella “qualità” urbana anzidetta, sempre che le autorità regionali non pensino, e spero proprio di no, che la qualità dell’offerta, anche culturale, debba essere direttamente proporzionale al numero degli abitanti di un determinato centro.
Tale qualità urbana andrebbe dunque ricreata superando una poco lungimirante visione economicistica anche nei piccoli centri, non solo per la politica culturale, restituendo e potenziando i servizi essenziali e assicurando un’accessibilità territoriale – autentica chimera sarda – che faciliti la comunicazione tra agglomerati urbani. Ma va pur detto che non è peregrina l’esigenza di una riduzione dei costi e di una razionalizzazione delle spese avanzata dalla Regione, fuori luogo appaiono pertanto, se non deleteri, alcuni esasperati e antistorici campanilismi, portati avanti da certi amministratori locali – con una buona dose di demagogia e con scarsi risultati sul lato pratico – che non vogliono rinunciare a niente e, al contempo, rifiutano ogni iniziativa tendente ad accorpare in determinati centri alcuni esercizi essenziali, unica politica attualmente praticabile, nell’ottica di una “riduzione del danno”.
I beni culturali, in tale contesto, se valorizzati ed elevati a sistema, possono sicuramente dare una mano per vincere la difficile battaglia della desertificazione, ma senza farsi eccessive illusioni: non si possono certo far carico di problematiche ben più ampie e gravi, la cui non risoluzione può anzi compromettere la sopravvivenza dei beni stessi. In positivo si pensi al parco archeologico e al relativo museo di Gennamaria a Villanovaforru, quest’ultimo, pur di modeste dimensioni, si è dimostrato negli anni estremamente vitale e capace di competere con le offerte culturali di centri ben maggiori, ridando linfa vitale a una comunità allo stremo e a un territorio destinato a quel processo di desertificazione sociale che la presenza del museo ha perlomeno rallentato.
Proprio sul rapporto tra museo e territorio e sulla loro reciprocità si basa la bontà dell’operazione; è un rapporto fondamentale, strettamente connesso all’allargamento del concetto stesso di bene culturale e di tutela, per cui appare sempre più anacronistico il concetto di museo-deposito e più pressante, anche se in un quadro ancora confuso, l’esigenza di vincolare il museo al contesto territoriale, al fine di approdare a una conservazione integrata dei beni culturali che, indipendentemente dalla loro collocazione, consenta la ricostruzione del quadro unitario e continuo di una determinata civiltà. La tutela del patrimonio storico, architettonico e sociale del passato diventa dunque la tutela del background del singolo cittadino e la cura, la conservazione, il vivere stesso all’interno di un piccolo borgo o nel suo centro storico, un motivo di distinzione intellettuale. Insomma, si tratta, in ultima analisi, del concretizzarsi dell’equazione tutela del bene = tutela dell’identità.
Ora, a fronte di una politica regionale che finalmente pare rispondere a simili problematiche, sia sul fronte della tutela ambientale, sia con le politiche a sostegno del recupero dei centri storici e sia, infine, con quelle finalizzate alla destagionalizzazione dei flussi turistici e all’inversione degli stessi flussi dalle zone costiere all’interno, si assiste, sul fronte della gestione dei beni culturali, a una politica accentratrice che pare muoversi in senso opposto, tanto da generare un quadro normativo perlomeno schizofrenico.
Un esempio per tutti è il caso di BETILE. Mi servirò di nuovo della figura di Gulliver nel paese di Lilliput, ove Gulliver sta al BETILE, il Museo mediterraneo dell’arte nuragica e dell’arte contemporanea, come Lilliput sta al già citato Museo di Gennamaria di Villanovaforru e a tutte quella rete di piccoli musei e istituzioni culturali amministrate dagli enti locali e che, nel bene e nel male, tra sperperi e inefficienze, tra logiche campanilistiche e scarsa professionalità, da anni garantisce, comunque, una programmazione culturale capillare, diversificata e, talvolta, di ottima qualità.
Mi chiedo e chiedo alle autorità regionali, a chi giova BETILE? Tralasciando di entrare in merito alla bontà del progetto di Zaha Hadid (che pure meriterebbe qualche considerazione), sorvolando sulla pochezza dell’impianto teorico che sta alla base di un’operazione che spaccia per innovativo il confronto tra nuragico e contemporaneo e che sa tanto, invece, di un anacronistico e velleitario déjà vu di stampo avanguardistico primonovecentesco, rimosso anche l’ingombrante e inappropriato paragone con Bilbao e la Solomon R. Guggenheim Foundation di New York, che in qualche modo garantisce la qualità di quanto proposto all’interno del museo creato da Frank O. Gehry, BETILE ha tutte le caratteristiche di una perniciosa operazione politico-culturale di “immagine” dall’impronta fortemente accentratrice e autoritaria, deleteria per la rete di piccole realtà culturali anzidetta.
C’è da chiedersi quale logica soggiace all’idea di investire dai 70 ai 120 milioni di € per la costruzione dell’edificio e i molto ottimistici 2 milioni annui per la sola gestione, un fiume di denaro pubblico per una struttura che più che il portale d’accesso alle potenzialità culturali dell’isola ha tutte le carte in regola per trasformarsi in un inutile mausoleo alla memoria di qualcuno e al declino di quegli istituti e luoghi della cultura (musei, parchi archeologici, biblioteche e archivi) che con la recente Deliberazione n 50/24 dell’11 dicembre 2007 della Giunta Regionale, si sono visti decurtare del 20% le risorse ordinarie solitamente trasferitegli attraverso gli enti locali per la gestione dei servizi.
Come è noto il 31 dicembre scadono tutti i contratti di gestione stipulati tra gli Enti Locali, le società e le cooperative che gestiscono le strutture culturali con la conseguente chiusura delle strutture e perdita del posto di lavoro da parte di circa 800 lavoratori nel settore culturale. Il tutto in una sostanziale indifferenza, quasi che la chiusura di una biblioteca o di un museo sia meno importante della soppressione di uno sportello bancario o che i lavoratori della cultura siano meno importanti di quelli di altri settori; forse perché non occupano il Palazzo regionale, le strade e non paralizzano l’isola. In questo senso il silenzio quasi totale dei sindacati e dei partiti politici è indicativo di una incapacità culturale di progettazione sociale e politica. Ma forse è eccessivo pretendere dai nostri politici e sindacalisti (ma anche dagli opinionisti) una qualche dimestichezza con i problemi della cultura.
L’approvazione della delibera regionale che, almeno provvisoriamente, avrebbe dovuto far fronte a tale situazione, ha rappresentato, invece, un preoccupante passo indietro da parte della Regione sul tema della gestione della cultura. Infatti, la Giunta, per mesi sorda agli allarmi e alle proposte del mondo delle cooperative, degli Enti Locali e degli operatori, ha approvato una proroga dei finanziamenti (per mesi negata) inadeguata come tempi e come fondi. La proroga è stata approvata sino al 30 maggio, lasso di tempo assolutamente insufficiente per elaborare e approvare nuovi progetti e per bandire le relative gare di affidamento, il che ovviamente significa che alla scadenza sarà necessaria un’ulteriore proroga.
Ma la delibera contiene due altre elementi preoccupanti, il primo, già evidenziato, di carattere finanziario: fino al 31 dicembre 2007 i servizi erano garantiti con un contributo della Regione pari al 90% del costo della sola manodopera, il resto comprendente il 10% della manodopera più tutti i costi di gestione, era a carico dei Comuni. Con la proroga il contributo regionale scende di botto al 70%, creando nei fatti una certa contrazione dei servizi e dei posti di lavoro. Questo ha avuto, tuttavia, almeno un effetto positivo risvegliando quei comuni un po’ distratti che saranno certamente più stimolati dalle forbici regionali che non da un reale interesse per le sorti della cultura.
Ma l’aspetto ancora più preoccupante della delibera è la decisione di espropriare le comunità locali della gestione delle proprie strutture culturali per affidarle a 8 fantomatiche società a dimensione provinciale. Il meccanismo, che corregge, l’iniziale scelta di un unico mega appalto regionale, rappresenta comunque una forte volontà centralizzatrice che contrasta con la natura culturale dei servizi e con lo stesso dettato della Legge Regionale sulla cultura (L.R. 14/2006) ed per questo che prima ho parlato di schizofrenia in talune scelte.
Le Province sono, infatti, entità amministrative fittizie che poco hanno a che fare con la realtà dei territori e delle comunità come si sono sviluppate nel tempo. Non a caso la stessa Regione sta promuovendo le Unioni dei Comuni su base di logiche territoriali più conformi alle realtà storico-culturali. Centralizzare la gestione dei servizi significa uniformare, su basi meramente manageriali la cultura che, per definizione. vive della diversità: la cultura è multiforme o non è. Altrimenti diventa un qualcosa di mummificato, buono per la vendita turistica, confinabile questo sì nel BETILE-Mausoleo.
Centralizzazione significa anche una gestione priva di riscontro con la realtà nella quale si vuole influire, non solo per gli aspetti meramente funzionali ma anche perchè nessuna, o quasi, delle società che oggi gestiscono i nostri servizi può competere in un mega appalto che avrà, necessariamente, valenza comunitaria. Il che in concreto significa che l’affidamento avverrà a ditte esterne, non presenti nel territorio e scarsamente interessate a un radicamento che, inevitabilmente, viste le dimensioni della Sardegna, non è remunerativo in termini economici.
La scelta desta perplessità anche perché è fatta senza che ancora sia stato approvato il “piano regionale per i beni culturali, gli istituti e i luoghi di cultura previsto dalla legge sulla cultura (L.R. 14/2006, art. 7), precostituendo, così, con un atto di imperio le conclusioni alle quali la Commissione regionale dovrà pervenire. E desta perplessità anche perché in contrasto con il dettato della stessa legge che non dà alla Regione il potere di centralizzare ma solo quello di coordinare e di dare indirizzi in accordo con gli Enti Locali, proprietari dei servizi e dei beni culturali oggetto di gestione. Non dimentichiamo che, come dice la stessa legge, sono i rappresentanti delle comunità locali “i primi custodi dei valori della cultura e delle identità locali” (L.R. 14/2006, art. 6, comma 1). O forse è in animo della Regione di espropriare le comunità locali dei loro beni?
La strada che si chiede di percorrere è un’altra e può essere sintetizzata in termini operativi nell’ampliamento credibile della proroga e nell’approvazione e realizzazione di un cronoprogramma per il 2008 che contenga:
· l’approvazione entro i primissimi mesi dell’anno del Piano regionale che contenga gli indirizzi e i criteri di accreditamento delle strutture culturali, adeguato alla realtà;
· la pubblicazione in tempi brevi di un bando per la presentazione dei progetti di gestione e sviluppo culturale da parte degli Enti Locali, privilegiando le forme associate quali le Unione dei Comuni in fase di definizione; un bando che, a differenza dei precedenti, sia discusso e stilato attraverso il confronto con gli Enti Locali e gli operatori adeguandolo alla realtà culturale delle nostre comunità;
· una data certa di approvazione dei progetti da parte della Regione e di erogazione dei fondi.
Solo così si potrà credibilmente dare vita a un serio sistema di gestione della Cultura adeguato ai tempi e alle necessità delle comunità locali, condiviso dalle stesse e da esse partecipato nei modi e nei tempi che una moderna concezione della cultura impone.
Per concludere, se la Sardegna è l’isola di Lilliput, Gulliver, qualsiasi forma esso possa assumere, non può che rivelarsi un ospite scomodo. Al contempo invasore e prigioniero, verrà al fine liberato, come recita la storia, ma la sua liberazione non sarà un atto di pacificazione quanto, piuttosto, la conferma che i due mondi, quello di Gulliver e quello di Lilliput, restano estranei l'uno all'altro, su piani completamente distinti.
Caro Presidente, eviti i conflitti e investa, più che su un ingombrante Gulliver, sulla rete diffusa di Lilliput, la innalzi a sistema, coordini ed esalti ogni singola individualità e ricordi sempre la citazione di Armando Peres (Assessore alla Cultura del Comune di Venezia) che apre il rapporto finale del Progetto di Monitoraggio e Valutazione inerenti le LL.RR. 11/1988 e 4/2000: “La cultura, si sa, costa, ma l’ignoranza costa assai di più”.

Ivo Serafino Fenu

2 commenti:

antonio lampis ha detto...

Un nuovo museo non può che far molt molto bene a Cagliari, specie nel quartiere Sant'Elia. Vero che "archeologia e arte contemporanea" sembra idea banale, ma a volte idee banali possono esser declinate in ottime maniere. Vedremo.
Il punto focale è certamente uno: nuove strutture culturali, specie se costose nella realizzazione dei "muri" debbono essre portate avanto con risorse aggiuntive, all'altezza dell'architettura che le contiene, accompagnate da investimenti di intemediazione con la cittadinanza e sopratutto senza nulla togliere ai progetti preesistenti nel resto del territotio.

antonio lampis ha detto...

..scritto con tastiera difettosa..